Mesud ha chiamato da Parigi. Non è contento: troppa gente abita in quella Città.
Il francese è ancora più difficile dell’italiano e di lavoro non se ne trova, tutto il giorno in giro e finisci col parlare solo coi Paesani.
Vuole tornare a Genova, da noi, e pensa di farlo entro ottobre, è un ragazzo robusto ma al Nord in gennaio si gela e lui ha un ricordo tiepido dell'inverno Ligure,.
Il viaggio di Mesud è un viaggio di ritorno, ed è così dalla sua partenza.
Tempo fa, un pomeriggio, volevo fargli capire quanto è pericoloso sfrecciare per gli stretti vicoli in sella ad una mini bicicletta senza freni, o pedalare indemoniato nel traffico cittadino senza alcuna protezione.
Tra le argomentazioni usate per dimostrarmi che lui è da sempre campione perciò figuriamoci un po’, tira fuori da “youtube” un breve filmato.
Un ragazzino amico suo, rifugiato in Germania, ha messo in rete il video registrato con un cellulare quattro anni prima, “girato” per scherzo tra ragazzi in un paesino di montagna nel sud della Turchia, presso il confine con la Siria.
Allora vedo Mesud a dieci, undici anni, coi sue due compari tirar pietre agli steccati, ridere come matti e spintonarsi lungo una strada sterrata. Una solitaria motocicletta li raggiunge, l’uomo che la guida li conosce, due parole bonarie ed un sorriso poi da gas e riprende la sua corsa sollevando la polvere, resa arancione dal tramonto.
Ancora urla e scherzi e in un giro su se stesso il giovane regista inquadra i prati tutt'intorno, i bassi muretti a secco, gli alberi sempreverdi vicino alle case in tinta chiara dal tetto piatto, si sofferma sull'unica vetta edificata: il Minareto, e sulle alte cime del paesaggio montano.
Il filmino si conclude con il faccione ridente di Mesud bambino, che saluta.
Non che mi sia sembrato molto diverso da Mesud adolescente, e non solo per fare una battuta sul suo carattere giocoso.
Non si capacita del perché mai non può esser ancora laggiù, ancora non capisce la sua missione, quella che hanno affidato a lui gli stessi genitori, che trascende il legame parentale diventando una questione Culturale e Umana.
Ma lui forse non vuole tutta questa responsabilità. Ne farebbe volentieri a meno.
Come altre migliaia di donne e di uomini, sparsi in Europa a tener viva una lingua e un’istanza di Liberazione di fronte alla sordità interessata dell’Occidente.
Appresi i rudimenti della convivialità europea, Mesud diversi mesi fa è partito da Genova per la Francia, con spirito d’indipendenza e determinazione. Poco tempo dopo viene affidato, dalla Protezione Rifugiati d’oltralpe, ad un cugino adulto residente a Parigi.
Al telefono ha raccontato che qualche soldo lo tira su, anche per telefonare, perciò si farà vivo lui, presto.
Del resto Genova è ospitale, per riprendere il cammino può andar bene, magari per studiare; e poi ad andar “a stecca” in bici per i vicoli si rischia al massimo qualche accidente dai passanti.
Un intero Popolo costretto ad iniziare un viaggio che è di ritorno dalla sua partenza. Qualcuno lo intraprende lungo i sassosi sentieri di montagna con il mitra in spalla, morendo Martire e Partigiano, ricordato da un fiore virtuale su internet; altri in fuga dai villaggi bombardati e profughi nei Paesi vicini; chi invece morendo in carcere, dopo un lungo digiuno di protesta, con l’etichetta infamante di terrorista.
E chi come Mesud in esilio forzato, ma lui, da buon adolescente, non la vuole dar vinta a nessuno.
E mi provoca un moto di solidale simpatia quando ostinatamente insiste a non accettare questa realtà: il non poter essere ora laggiù, nel suo Paese, il Kurdistan.
g,
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