giovedì 26 maggio 2011

il giovane Mesud



Mesud ha chiamato da Parigi. Non è contento: troppa gente abita in quella Città.


Il francese è ancora più difficile dell’italiano e di lavoro non se ne trova, tutto il giorno in giro e finisci col parlare solo coi Paesani.


Vuole tornare a Genova, da noi, e pensa di farlo entro ottobre, è un ragazzo robusto ma al Nord in gennaio si gela e lui ha un ricordo tiepido dell'inverno Ligure,.


Il viaggio di Mesud è un viaggio di ritorno, ed è così dalla sua partenza.


Tempo fa, un pomeriggio, volevo fargli capire quanto è pericoloso sfrecciare per gli stretti vicoli in sella ad una mini bicicletta senza freni, o pedalare indemoniato nel traffico cittadino senza alcuna protezione.


Tra le argomentazioni usate per dimostrarmi che lui è da sempre campione perciò figuriamoci un po’, tira fuori da “youtube” un breve filmato.


Un ragazzino amico suo, rifugiato in Germania, ha messo in rete il video registrato con un cellulare quattro anni prima, “girato” per scherzo tra ragazzi in un paesino di montagna nel sud della Turchia, presso il confine con la Siria.


Allora vedo Mesud a dieci, undici anni, coi sue due compari tirar pietre agli steccati, ridere come matti e spintonarsi lungo una strada sterrata. Una solitaria motocicletta li raggiunge, l’uomo che la guida li conosce, due parole bonarie ed un sorriso poi da gas e riprende la sua corsa sollevando la polvere, resa arancione dal tramonto.


Ancora urla e scherzi e in un giro su se stesso il giovane regista inquadra i prati tutt'intorno, i bassi muretti a secco, gli alberi sempreverdi vicino alle case in tinta chiara dal tetto piatto, si sofferma sull'unica vetta edificata: il Minareto, e sulle alte cime del paesaggio montano.


Il filmino si conclude con il faccione ridente di Mesud bambino, che saluta.


Non che mi sia sembrato molto diverso da Mesud adolescente, e non solo per fare una battuta sul suo carattere giocoso.


Lo sguardo di Mesud si illumina nel commentare il video, e si distende in un sorriso, come per un attimo tornato alla serenità che traspare dall'osservarlo nei suoi giochi quotidiani di ragazzo. Un ragazzo che si gode il presente e si prepara al futuro.

Non avrebbe voluto abbandonare quell'ambiente e quella dimensione a lui cosi cara, per quanto ora sia avventuroso esser fuggiasco per l'Europa, a rintracciare famigliari in Francia, a festeggiare il Newroz in Germania, a cercare il fratello "di padre" o i fratelli "di madre"... ovviamente senza esser contento di quello che trova.

Non si capacita del perché mai non può esser ancora laggiù, ancora non capisce la sua missione, quella che hanno affidato a lui gli stessi genitori, che trascende il legame parentale diventando una questione Culturale e Umana.


Lui conserverà ai geni della sua famiglia la possibilità di riprodursi, e questo giustifica già da se la scelta obbligata: qualunque genitore preferisce saper vivo un figlio lontano che avercelo sepolto vicino; a lui gli si chiede di più, dovrà conservare un patrimonio e un’identità culturale, dovrà elaborarla in contesti geografici e sociali nuovi, per non perderne l’essenza... e dovrà sperare di poter un giorno ripiantarne il seme in una terra inaridita da decenni di occupazione e di violenza.

Ma lui forse non vuole tutta questa responsabilità. Ne farebbe volentieri a meno.


Avrebbe fatto a meno proprio di partire. Di lasciare laggiù il canto dell'Iman nel rosso della sera, la piccola scuola e la tranquillità dei frutteti. Questo è sicuro.

Come altre migliaia di donne e di uomini, sparsi in Europa a tener viva una lingua e un’istanza di Liberazione di fronte alla sordità interessata dell’Occidente.


Appresi i rudimenti della convivialità europea, Mesud diversi mesi fa è partito da Genova per la Francia, con spirito d’indipendenza e determinazione. Poco tempo dopo viene affidato, dalla Protezione Rifugiati d’oltralpe, ad un cugino adulto residente a Parigi.


Al telefono ha raccontato che qualche soldo lo tira su, anche per telefonare, perciò si farà vivo lui, presto.


Del resto Genova è ospitale, per riprendere il cammino può andar bene, magari per studiare; e poi ad andar a stecca in bici per i vicoli si rischia al massimo qualche accidente dai passanti.


Anche se non è questo che vuole Mesud.

Credo che vorrebbe solo essere a casa, al suo villaggio in montagna, a saltare i fuochi nelle notti di festa e a ballare la sua musica con le donne, fiere, belle e patriote.

Un intero Popolo costretto ad iniziare un viaggio che è di ritorno dalla sua partenza. Qualcuno lo intraprende lungo i sassosi sentieri di montagna con il mitra in spalla, morendo Martire e Partigiano, ricordato da un fiore virtuale su internet; altri in fuga dai villaggi bombardati e profughi nei Paesi vicini; chi invece morendo in carcere, dopo un lungo digiuno di protesta, con l’etichetta infamante di terrorista.


E chi come Mesud in esilio forzato, ma lui, da buon adolescente, non la vuole dar vinta a nessuno.


E mi provoca un moto di solidale simpatia quando ostinatamente insiste a non accettare questa realtà: il non poter essere ora laggiù, nel suo Paese, il Kurdistan.



g,









giustizia divina


Dopo aver improvvisato uno scheletro in legno adatto a reggerla abbiamo appeso al muro la grande cartina di Europa ed Africa, col suo bell'azzurro degli Oceani, posizionata in modo che venisse illuminata dalla luce del sole ed ottenendo così un buon risultato visivo. Arredante. Tanto che Justice rimane lì,appoggiato all'angolo del muro, almeno venti minuti ad osservare il suo Continente. Muovendo solo i grandi occhi ben aperti e inclinando leggermente il capo, a seguire strade e percorsi sconosciuti in una terra sconfinata evidentemente segnata dai Limiti velleitari che la Storia dell'Africa le ha imposto. Barriere delle quali lo sguardo di Jostice fa proprio a meno, neanche le considera nel ripercorrere mentalmente l'epica del suo lungo viaggio.

Non ha ancora vent'anni, un ragazzo esile e gentile nei modi, dallo stile anglosassone impastato con la profonda quiete che infonde il paesaggio assolato ed infinito dell'Africa; la voce è calma e dai toni bassi, le pause frequenti riempite dallo sguardo in cerca di un orizzonte lontano e invisibile, sempre presente. Il suo è un nome cristiano, molto. Si chiama Justice Lord, "Giustizia Divina", ed in quella di sicuro lui confida.


Lentamente alza il braccio, la sua mano sfiora la Carta e con le dita segna il punto geografico di Harare, Capitale devastata da saccheggi e violenze di un Paese decimato dal contagio di malattie indicibili: lo Zimbawe.


Da lì il dito scivola dritto al Sudafrica per attraversarlo di netto e scendere sino a Città del Capo, metropoli così tanto ricca e moderna da essere una enorme riserva di risorse a cui attingere per poi affrontare la traversata del "mondo", meta obbligata nell'esodo dall'Africa anche per Jostice, per "far " due indirizzi utili e qualche dollaro ancora.


Giusto un attimo di pausa dopodiché il suo indice riparte verso nord, in treno, anzi su più treni, vecchi e lenti, convogli merci e carbone se e quando riesce, pare che in Africa i passeggeri siano stipati in genere molto peggio dei pacchi o dei minerali.


Treni che lo riportano divorando altitudini e latitudini a nord-est, passando tra i Grandi Laghi, il Tanganica, il Vittoria, addentrandosi nelle buie foreste della Tanzania ed arrivando finalmente al Kenia, dove il treno finisce. E dove anche la jungla verde ed afosa e le alte montagne che bucano le nubi scompaiono, gradatamente, lasciando il posto ad una estensione incredibilmente vasta di savana e terre desertiche, come fosse un'enorme Valle in cui intere Nazioni trovano posto...Etiopia, Sudan, Ciad, un'infinita depressione geologica che porta il deserto sabbioso per le migliaia di chilometri del territorio Libico sino alle coste del Mediterraneo.



Il polpastrello fin'ora ha quasi corso giù e su per la cartina, la voce accompagna questo viaggio con le poche parole in italiano, caldo, freddo, sete, morti, ribelli, soldati, fame... a scandire ogni piccola tappa e luogo incontrato, a descrivere la difficoltà di ogni spostamento, fino a dove arriva appunto il treno, poi...



L'orizzonte si sposta di continuo in avanti e solo il voltarsi a guardare indietro da la percezione di quanta strada si è già percorsa, questo almeno sino a che son visibili le catene montuose del Sudan meridionale, dopodiché i punti cardinali scompaiono insieme ad ogni riferimento e tutte le direzioni sono assolutamente e assolatamente uguali. Allora il dito rallenta e racconta di quanto dilatati, come un'agonia, siano stati quei lunghi giorni, a piedi, quanto pesante e faticoso ogni passo, quasi contato... milletrecento,,, diecimiladuecento,,, centocinquantamiladuecentoventitre passi.


Ma dalle pendici di quelle montagne, da Occidente come da Oriente, dal Niger come dal Congo, sono milioni di persone che scendendo vanno ad ammucchiarsi al "fondo valle", migliaia di gruppi umani, famiglie e animali che trainano carri e casse con poche cose, plastica, legno, enormi fagotti trasportati per chilometri... una processione senza fine di teli e stracci addosso a uomini e donne, stipati su vecchi camion a cui è affidata la vita, e bambini a centinaia, così visibili da sembrare la parte più consistente di questa vasta Umanità in un Esodo disperato. Tutti stanno attraversando sterminate depressioni di caldo, di sabbia e di cadaveri lasciati imbiancare al sole, tutti stanno dirigendosi a Nord, verso il mare, verso il Mediterraneo.


Justice fa ampi segni su questo territorio ad indicare come le masse incontrate arrivassero davvero da tutte le direzioni, mentre lo ascolto guardo la cartina e ripenso a ciò che a scuola studiamo dell'Uomo e della sua evoluzione, al primo, atavico viaggio d'emigrazione che quei pochi individui della nostra Specie, dalle foreste e dalle savane, intrapresero alla conquista del mondo, verso la Mesopotamia e l'Europa, arrivando a popolare l'intero Pianeta.

Justice Lord insieme ad una parte della moderna Umanità lo ha ripercorso,

oggi.


Il ragazzo pensa sia passato poco meno di un mese dal suo arrivo in Ciad, metro dopo metro, notte dopo notte, sino alle coste Libiche sul Mare Nostrum. Lì si trova sempre un peschereccio che aspetta i quattrocento dollari, conservati riducendoli piega dopo piega alle dimensioni di francobolli infrattati nell'intimità.


Dopo aver stivato il piccolo Cargo di corpi Africani sino quasi a farlo affondare, il Capitano decide per una rotta lunga cinque giorni di navigazione, adatta ad evitare i guardacoste Libici, Maltesi, Greci ed Italiani, almeno sino alle acque Nazionali di Lampedusa, due litri di acqua e nulla più è concesso portarsi appresso, anche se hai bambini.


Justice Lord sbarca in territorio Siciliano; ricoverato, nutrito ed imprigionato in un CPT, ottiene ora lo Status di Rifugiato, gli permetterà al massimo un anno di Asilo, un anno di rifugio in Italia, in Europa.

Neanche il tempo d'imparare l'Idioma.

E poi forse le condizioni della martoriata Africa saranno così migliorate da permettergli di tornare a casa,

ma forse no.

E allora dovrà studiare e lavorare, recuperare e ricostruire la sua vita qui, in Europa, come molti altri "nuovi Sapiens". Portando così nuova linfa a quei Popoli che in questo stanco Continente stanno invecchiando e somigliando anche nei destini sempre più all'antico "Neanderthal".



g,