martedì 7 giugno 2011

husseyn



Hussein scappa veloce dal suo villaggio. Corre e non si guarda intorno per l'ultima volta, non saluta i campi inariditi e le alte montagne lungo l'unica via per uscire dalla valle. Davanti ai suoi occhi ha solo la strada, tortuosa e sterrata, che conduce a Est,,, al Pakistan.

Hussein non smette di correre per molti chilometri prima di incontrare un grosso camion; ha con sé una sacca con un po’ di pietre dure, alcune a forma di goccia in lapislazzuli: “lacrime azzurre”. Il camionista, in cambio di qualche preziosa “lacrima”, lo aiuta ad attraversare la frontiera… respirando polvere sdraiato sotto al telaio, legato con la cintura ai ferri della carrozzeria. Il dolore è davvero insopportabile quando, alle prime luci del giorno, il camion viaggia ancora veloce. Sono passate ore e ore. Mai nella sua giovane vita tribale Hussein si era sentito così stanco, così vicino a lasciarsi andare, e mai più gli accadrà in futuro.

Cadere, chiudere gli occhi e lasciarsi andare... e pensa. Rivede suo fratello, sua sorella, sgozzati entrambi, li rivede accasciati sul pavimento. Vede suo padre morto sparato nel giardino di casa, per mano dell'amato zio. L'uomo che il mattino stesso aveva decretato la morte di tutta la famiglia. Ammazzare tutti per prendersi tutto. Tutto il gregge, tutto l'aspro e freddo terreno intorno alle poche case d'argilla, tutto l'invidiato "benessere" di una famiglia d'allevatori Hazari,,,

Hussein pensava, ma non piangeva, allora.


Mancava Hussein quel pomeriggio fatale in famiglia, come ogni giorno il mattino presto andava a bottega. Imparava a cucire e costruire le scarpe per poi rincasare a sera. Non rientrò mai più a casa.
Abbandonato l'Afghanistan non gli è difficile continuare la fuga, in quelle terre nessuno chiede i documenti e in un'incredibile promiscuità di varie umanità un tredicenne robusto viene presto arruolato per diversi usi e servizi..
Hussein viene spinto nel giro della lotta clandestina; lavora per un brocker delle scommesse di strada, facendosi massacrare da agguerriti coetanei agli angoli della casbah pakistana affollata di adulti esaltati e urlanti. Poi impara ad essere lui il più violento. Non cambia la misera ricompensa, ma riesce a non farsi spaccare le ossa.

Tornare indietro, tornare al Villaggio. Voleva dire ritrovare la propria realtà, l'unica in cui immaginarsi. Ed incontrare la morte. Il Clan Talebano è comandato dallo Zio fratricida e l'intero villaggio è in mano loro. In quella lontana faida arcaica Hussein è l'unico erede legittimo di ciò che in quel mondo rappresenta la ricchezza.

Hussein passa dei mesi lavorando duro ovunque gli capiti l'occasione, spostandosi appena può. In Iran riesce a salire su un Cargo come clandestino, la nave batte bandiera Ellenica e lo sbarca imprigionato in Grecia. Dalle Autorità non gli viene riconosciuta la minore età e viene detenuto in strutture per immigrati illegali; adulti, dove ogni lacrima che ti sfugge ti riporta a zero.

Il ragazzo non vede che un'unica via d'uscita e la prova: tenta il suicidio sperando di finire in ospedale, ma viene "salvato", e rivendicare ancora l'essere minorenne non attenua, anzi, le aggressioni e le torture, che lasceranno indelebili segni, anche sul corpo.
Infine, in seguito a continui atti di autolesionismo, viene rilasciato con l'espulsione immediata dal Paese.


Hussein è determinato ad entrare in Europa e grazie a dei suoi connazionali lavora in nero nei porti e si paga un "passaggio" in una bara di ferro: un container su un Cargo per l'Italia. 4000euro.

Quando stanno finendo i pochi frutti e i biscotti che Hussein aveva con sè sono passati diversi giorni. In cinque in un container già pieno di merce, accatastato con altri cento sulla coperta d'una nave, ci si dà anche fastidio, gli escrementi puzzano e qualcuno non parla più da ore, però si sente che respira. Nessuno aprirà i sigilli prima del Porto di Ancona. Un uomo moribondo piange e prega, Hussein non piange, non gli viene, canta sommesso le nenie di sua madre. L'acqua sà di plastica e comunque è quasi finita,,,,

Quando la Guardia di Finanza spalanca le ante di ferro della cassa la luce è abbagliante, Hussein non vede neanche chi lo sta sollevando e portando su una barella. Voci e luci e un ospedale, parole in italiano.

Hussein ha richiesto la "protezione umanitaria", lo status di rifugiato, ne ha tutte le caratteristiche ed i diritti. E' stato informato da volontari, operatori di Associazioni che si occupano di questo aspetto della disperata e disgraziata Epopea moderna.

Ora che gli è stata riconosciuta la validità della motivazione lui entra in un programma di tutela: scuola, salute e (si spera) lavoro, questi mesi li ha passati in una struttura da 10 posti, tutti ragazzi. Le sue disavventure gli hanno lasciato cicatrici invisibili ma intime. Presto dovrebbe cambiare "famiglia". Un gruppo più piccolo, più domestico, dove magari non debba temere i muri o le finestre.


Quando ora osservo la pietra che mi ha donato, quando la tengo tra le dita o la stringo nella mano, il giallo ocra che la pervade cambia leggermente di tonalità. Credo abbia delle sue particolari proprietà.

Sono sicuro che Hussein troverà luoghi e dimensioni in cui gli incubi che lo fanno sudare ed urlare la notte si possano allontanare, dove col tempo possa ritrovare la speranza e la quiete, e non più le lacrime scorrergli improvvise sul volto, senza sapere il perché.

g,

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